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Unemployment

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UNEMPLOYMENT - LUGLIO 2018

UNA MIA ANALISI SUL PANORAMA LAVORATIVO

La disoccupazione, davvero una brutta bestia. Maffesoli e Castoriadis etichetterebbero questa realtà italiana “molto magmatica e imprecisa, dove non si riesce a dare la giusta impronta”. La nostra politica spesso viene definita incapace di cogliere questa sorta di nuova configurazione sociale emergente come un autentico diritto di cittadinanza societaria.  Il lavoro, nel difficile contesto odierno caratterizzato anche dalla rivoluzione digitale, oltre a mantenere il tradizionale obiettivo di garantire uno stipendio e un’esistenza degna a un singolo e al proprio nucleo familiare, va a rappresentare una questione sociale di natura emergente. Ciò assume un duplice significato, ovvero se da un lato possono dilagare i rischi di disoccupazione e di diffusione dei precari, spesso fruttati e maltrattati, dall’altro potrebbe crescere la gamma di lavori virtuali potenziali caratteristici di un’economia post-moderna. Si tratta sostanzialmente di due fattori mixati e intrecciati tra loro, tramite una apposita società reticolare che necessita inevitabilmente di una nuova soggettività del modus operandi lavorativo e di efficaci ed efficienti innovazioni nelle strutture e forme organizzative della specifica realtà imprenditoriale (Sanicola L., 2009, Dinamiche di rete e lavoro sociale. Un metodo relazionale).  Il lavoro deve essere letto come una forma di relazione sociale, anziché come pura prestazione o servizio, nella prospettiva comune di economia relazionale. Nell’attuale fase economica, infatti, l’acutizzarsi della crisi ha drasticamente ridotto le opportunità di impiego giovanile, non solo a causa dell’allungamento dell’età pensionabile ma anche per via dei tagli al reparto delle risorse umane disposte dalle aziende per una serie di fattori ordinari o eccezionali che siano. Il problema dei giovani che non studiano e non lavorano oggi ha assunto una dimensione enorme. Periodicamente il noto Istituto Nazionale di Statistica diffonde cifre e dati sul fenomeno della disoccupazione nel Bel Paese. I dati risultano essere allarmanti, i giovani talvolta si vedono costretti ad espatriare per trovare un lavoro che possa dare loro uno stipendio per vivere. Di recente, a metà giugno, l’Istituto Europeo di Statistica ha fornito dei dati assai drammatici e preoccupanti, concernenti il pianeta dei giovani. In particolar modo si parla dei cosiddetti N.E.E.T. (Not in Education, employment or training), ovvero giovani che non lavorano e che non hanno più speranza di trovarlo. L’Italia si conferma lo Stato dell’Unione Europea col maggior numero di giovani senza lavoro e senza speranza di trovarlo. I dati dell’Eurostat affermano che nel 2017 quasi il 26% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni non avevano un’occupazione per vivere, non la stavano nemmeno cercando e non erano impegnati neanche in uno specifico periodo di formazione e aggiornamento.  E’ veramente brutto quando si fa morire la speranza, facendo divenire l’Italia la maglia nera d’Europa. La politica a tal proposito dovrebbe dare una mano, occorre la sinergia di tutti gli elementi  affinché ci sia una sana esistenza ed un certo equilibrio all’interno di un puzzle multiculturale e di assoluta frammentazione sociale.  Un giovane su quattro non lavora e non studia. I dati, dunque, vedono l’Italia primeggiare, come si affermava, nel 2017 nella classifica europea, con una percentuale del 25,7%, a fronte di una media standard Ue di quasi il 14,5%. Una percentuale del tutto simile si registra a Cipro in cui i Neet sono quasi il 23%, seguito da Grecia (21,4%), Croazia (20,2%) e Romania (19,3%). Al contrario la percentuale più bassa di soggetti Neet si registra nei Paesi Bassi in cui assistiamo ad una percentuale del 5,3%, seguita da Slovenia, Austria, Lussemburgo, Svezia. I giovani se non hanno speranza indubbiamente non credono più nemmeno nella loro vita, e soprattutto nelle loro istituzioni, colpevoli a loro avviso di non rappresentarli in maniera degna.




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